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giovedì 14 febbraio 2013

Un "Classico" per eccellenza



Un motivo per cui il chianti è uno dei vini italiani più conosciuti e richiesti al mondo, ci sarà. E c’è eccome!!!
Lo straordinario connubio che c’è stato tra le dolci e boscose colline dell’entroterra toscano con il sangiovese, unito agli altri vitigni autoctoni della zona (canaiolo, colorino e ciliegiolo in testa) ha dato origine a vini sì austeri e duri, ma che con il giusto invecchiamento e la giusta maturazione, diventano prodotti eccellenti per le nostre tavole da almeno 50 anni.
Ovviamente, anche per il territorio storicamente di tradizione più lunga è arrivato il vento di modernizzazione che da alcuni anni sta invadendo i nostri vecchi disciplinari, inserendo anche nel chianti la possibilità di tagli con vitigni di tipo “internazionale”, cabernet, merlot o syrah che sia, grande presenza di legni nuovi e aromatici, ecc… ma quando si ha la possibilità di imbattersi in un grande chianti “old style”… Ragazzi… non fatevela scappare!!!
E’ proprio il caso di questo Chianti Classico Riserva 2007 MONTEGIACHI degli Agricoltori del Chianti Geografico. Uvaggio tipicamente tradizionale (sangiovese con piccola percentuale di colorino), affinamento senza barriques (tonneaux da 500 litri) e il giusto tempo necessario, portano ad un vino dall’eccezionale rapporto qualità/prezzo, probabilmente uno dei migliori chianti classico che mi sia capitato di assaggiare negli ultimi anni. Forse risulta ancora un pelino giovane; con un paio di anni in più sarebbe stato davvero un vino eccellente.
Alla vista si è mostrato di un bel rosso rubino carico e brillante, con una leggerissima unghia granata, ma davvero invitante. Al naso è stato dapprima austero, quasi restio a voler lasciare uscire i sentori fruttati tipici del sangiovese, ma poi col passare dei minuti ha dato un crescendo di viola, ciliegia rossa, con un contorno di sottobosco e spezie fini, tra cui evidentissimi alloro e tabacco. Poco percettibile l’uso del legno di affinamento, particolare che impreziosisce davvero e non appesantisce la gamma olfattiva.
In bocca ha mostrato una grande struttura, un corpo di gran classe pur mantenendo una eccezionale morbidezza, con tannini presenti ma assolutamente non invadenti. Segno di una grandissima e sapiente lavorazione e della provenienza da una delle zone maggiormente vocate. Predomina la frutta rossa, ciliegia, mirtillo rosso, mora innanzitutto, ma contornate in maniera evidente da spezie, tabacco, e un finale quasi di torrefazione. Davvero di grande equilibrio e di beva piacevolissima.
Un vino eccezionale, da consigliare e da riprovare tra un paio d’anni, che sapranno sicuramente esaltare ulteriormente le grandi peculiarità di questa etichetta.


domenica 22 luglio 2012

Abbiamo decisamente festeggiato!!!!

Quando abbiamo deciso di andare a cena fuori per festeggiare il mio compleanno non mi aspettavo di certo di trovarmi davanti ad una serata di quelle che rimangono impresse a lungo nella mente di un appassionato di vini, e non potrò mai smettere di ringraziare l’amico che mi ha fatto questo enorme regalo… davvero una grande sorpresa!!!
La serata era iniziata subito bene, sorseggiando come aperitivo un ottimo Blanc de Blancs di Pascal Doquet, del quale ho già raccontato in passato, ma le due bottiglie con cui abbiamo cenato… ragazzi… siamo nel Gotha dell’enologia mondiale!!!
Antipasto e primo sono stati accompagnati da un bianco di Borgogna, per la precisione da un Batard-Montrachet Gran Cru 2005 di Vincent Girardin. Come tutti i bianchi di quella zona, si tratta di chardonnay 100%... e della migliore razza!!!
Colore giallo paglierino, con una leggerissima vena dorata, limpido, luminoso, bellissimo a vedersi sul calice a tulipano.
Infilando il naso nel bicchiere sembra di trovarsi in qualche angolo sperduto delle poche coste ancora selvagge del mediterraneo: una mineralità e una salinità che si sente già all’olfatto, accompagnata da una dolcissima nota di erbe aromatiche, pesca gialla, agrumi maturi (pompelmo rosa sopra tutti), timo, rosmarino e salvia. Una miriade di sfumature tutte da ricercare e da catalogare che avrebbero richiesto ore per essere scovate tutte.
Poi l’assaggio… Incredibile come si mescolassero morbidezza burrosa e potente salinità, una mineralità che solo questa vocalissima zona della Francia sa donare allo chardonnay, ma perfettamente amalgamata ad una rotondità piacevolissima e invitante. Poi, imperiosa, la frutta gialla, pesca, albicocca, pompelmo, erbe fini, camomilla, c’era di tutto. Un vino infinito di sfumature e di sfaccettature a tutto tondo.
Eccezionale!!!
Poi per il secondo e per il “giro di formaggi” finale è arrivato lui… Senza nulla togliere al nostro fantastico bianco, trovarsi a cenare con uno Chateau Latour, il grande Chateau Latour, 1er G.C.C. di Pauillac annata 1999… Beh… credo farebbe invidia alla gran parte dei sommelier di tutto il mondo.
Ed era proprio lui!!!
Già l’apertura della bottiglia sembra un rituale magico, con la conferma dal tappo che ci saremmo trovati davanti proprio ad un assaggio memorabile. Il colore al bicchiere si presenta bello vivo, rosso/viola scuro intenso, quasi impenetrabile ma senza esagerare.
Il naso ha dentro di tutto: prugna, mora, cassis, ciliegia nera, poi tabacco, spezie, alloro, cioccolato nero… tutto in sequenza, tutto perfettamente individuabile, ma amalgamato al resto in maniera eccezionale. Intensità sorprendente, ma allo stesso tempo morbida ed elegante. Una conferma di tutto ciò che si dice e si legge di questo vino.
Poi… all’assaggio!!! Non nascondo che prendere il primo sorso di questo vino mi ha fatto vivere un piccolo momento di sospensione reverenziale. D’altronde… è uno dei migliori vini al mondo! Mostra una bella struttura, ma sorretta da tannini incredibilmente vellutati, che accarezzano palato e lingua scivolando via leggeri e morbidi. C’è frutta… tanta frutta, ancora prugna, mirtillo nero e mora, accompagnati da una spiccatissima ed eccezionale vena balsamica, quasi mentolata, ad aggiungere complessità e gamma gustativa ad un prodotto che ne ha già ben oltre alla media. Poi chiude con una nota lievemente erbacea, di alloro e altre erbe dolci, polvere di caffè e tabacco da pipa. Un grandissimo fuoriclasse!
Insomma, che ci crediate o no, in tre che eravamo non siamo riusciti a trovare un solo minimo difetto a nessuno dei due vini della serata!!!
Che fossero due prodotti praticamente perfetti??? Credo proprio di sì.
Ragazzi… Questo compleanno rimarrà sicuramente nella storia, e le due bottiglie a perenne memoria ora campeggiano a casa nostra!!!

lunedì 18 giugno 2012

La Germania da (de)gustare

Esistono territori che al grande pubblico sono poco conosciuti come produttori vinicoli, e che invece hanno delle potenzialità eccezionali (e a cercare bene, si trovano grandi prodotti che sanno ben dimostrarle). E’ il caso del vino di cui vi racconto questa volta, che abbiamo potuto stappare e gustare questo sabato sera nell’osteria di un nostro amico.
Il vino proviene dalla Germania, più precisamente dalla zona vinicola della Mosella (o Mosel Saar Ruwer, per scrivere la corretta denominazione in tedesco, che prende il nome dai tre fiumi principali che la definiscono), nella quale il vitigno nettamente predominante è il riesling. Leggendaria la longevità eccezionale dei bianchi che ne derivano, e infatti nel nostro caso ci siamo trovati davanti ad un vino di 20 anni tondi tondi che sembrava imbottigliato il giorno prima!!!
Nel dettaglio, il nostro compagno della serata è stato un RIESLING AUSLESE 1992 del produttore Alfred Merkelbach. La dicitura “Auslese” indica una tipologia che viene prodotta solamente nelle annate migliori, nella quale i grappoli più maturi vengono selezionati a mano direttamente in vigna prima della raccolta.
La straordinaria longevità di questi vini è stata dimostrata subito fin dal colore nel bicchiere: giallo verdolino, poco carico e limpidissimo. Un colore del genere me lo aspetterei da un vino messo in bottiglia da qualche settimana, non da 20 anni!!! Eccezionale.
Al naso, tutta la stupenda tipicità del riesling: profumi dolci e predominanti di idrocarburi (come battuta avevo detto che mi sembrava di infilare il naso nel serbatoio della mia auto diesel), affiancati subito dopo da una splendida gamma di agrumi, pompelmo rosa e mandarino soprattutto, poi frutta a pasta gialla, erbe aromatiche e un’infinita serie di altre piccole sfumature che avrebbero richiesto ore per essere individuate tutte. E poi, un’intensità sorprendente, quasi una ventata che sale dal bicchiere a invadere le narici, pur mantenendo una freschezza e un’eleganza da grande fuoriclasse.
Al gusto, una freschezza che non ti aspetti, limpido, cristallino, anche qui con una netta dominanza di idrocarburi fin dall’inizio; poi, col passare dei minuti sono emersi gli agrumi, mandarino, pompelmo, poi albicocca e una leggerissima vena di miele d’acacia, probabilmente dovuta agli anni passati dalla vendemmia. Splendida la vena di dolcezza che raccoglieva il tutto in maniera piacevolissima e invitante. Conclude il sorso con erbe aromatiche delicatissime e molto variegate nell’evoluzione.
Insomma, un grande vino, degno fuoriclasse rappresentante di una bellissima tipologia fuori dai classici schemi a cui siamo abituati. Vale sicuramente la pena avventurarsi in qualche assaggio di vini di quelle zone… Soprattutto sottolineando che i vini di quelle zone tendono ad avere volumi alcolici molto contenuti (nel nostro caso 8,5%!!!!!!).
Quindi, come diceva il nostro amico oste: “Da bevarne a secci” (per i non veneti: “da berne a secchi”)!!!

martedì 5 giugno 2012

Una bomba di frutta

Questa volta devo proprio ringraziare un amico di lunga data, nonché mio compagno di band, per avermi fatto gentil cadeau della bottiglia di cui vi sto per raccontare, che ha preso direttamente in loco durante una delle sue passate visite in quella bellissima cittadina che è Montefalco, in Umbria. Nel dettaglio si tratta del Sagrantino di Montefalco DOCG COLLE GRIMALDESCO 2003 del produttore Tabarrini.
Il sagrantino è già noto per essere un vitigno che dona vini tannici, strutturati e concentrati, se poi aggiungiamo che il 2003 è stata un’annata intensamente calda e assolata, i presupposti per trovarci davanti ad un vino iperconcentrato e muscoloso c’erano tutti. Ancora di più, considerando che l’etichetta riportava un volume alcolico del 15%!!!
E invece, quasi sorprendentemente, si è rivelato meno “polposo” di quello che pensavo.
Al bicchiere, manco a dirlo, si mostra rosso rubino con qualche riflesso granata, scuro e impenetrabile, concentratissimo nel colore e nell’intensità.
La prima impressione che ho avuto avvicinando il naso al bicchiere è stata simile ad una marmellata di prugne e more stramature. Una miriade di frutti neri, con una vena di surmaturazione che non invecchia, ma anzi, impreziosisce la complessità del vino. Certo, non ci si può aspettare un vino “fresco” quando si sceglie un tal vitigno, in una tale annata, ma vi garantisco che l’assieme del frutto che ne emergeva era davvero piacevole e ben amalgamato. Seguono a ruota, intensi e imperiosi, cioccolato nero e caffè, uniti a una sottile nota di cuoio di sfondo. Col passare delle mezz’ore la frutta nera ha preso ancora più il sopravvento, pur lasciando sempre vivissimi il cioccolato fondente e il caffè.
In bocca mostra una struttura e una concentrazione notevoli (non poteva essere altrimenti). Si sente abbastanza il “calore” alcolico, però non risulta invadente, perché comunque surclassato rapidamente dalla concentrazione fruttata e dalle note terziarie in emersione. Anche qui, assolutamente protagonisti i frutti neri maturi, mora, ciliegia, prugna e, ad impreziosire il tutto, una bellissima nota di fichi neri a completare una gamma davvero variegata. Immancabili i tannini, vivi, potenti, ancora quasi ruvidi, ma nel complesso discretamente amalgamati nell’assieme del sorso. Chiude ancora in un finale lungo e piacevole di cioccolato nero, caffè, cuoio e tabacco.
Ultimamente sono pochi i vini di tale concentrazione che non mi risultino “stancanti” nella beva. Questo Colle Grimaldesco ne fa sicuramente parte, tanto che pur nella sua muscolosità, risulta di beva piacevole e invitante, se ottimamente accompagnato da uno spezzatino di manzo in rosso, come nel nostro caso.
Purtroppo questa volta le pulizie di casa sono state più rapide della mia macchina fotografica, quindi niente foto della bottiglia originale, ma vi posto un’immagine della sola etichetta che ho trovato in giro per il web.

domenica 6 maggio 2012

Un evento molto speciale!!!

Ci sono eventi che vanno sicuramente festeggiati con una grande bottiglia, quindi ogni buon appassionato conserva in cantina qualche grandissima “chicca” per le occasioni speciali. E quale miglior occasione del primo compleanno del nostro primogenito per aprire un vero e proprio “mito in bottiglia”?
La serata: sabato 28 aprile, 10 amici + 2 bimbi, un bel tavolo quadrato, una saletta tutta per noi nell’Osteria di un nostro amico e una Jeroboam (3 litri) di Franciacorta DOCG Cuvée ANNAMARIA CLEMENTI 1990!!!
Quale miglior modo di brindare al nostro piccolo???
Ma dato che questo è un blog che racconta di vini… Lascio ai miei ricordi la bella festa, e vi racconto che vero fuoriclasse abbiamo avuto nei nostri calici.
Innanzitutto il colore: giallo oro, vivo, brillante e di discreta intensità, segno dei suoi quasi 22 anni, perfettamente trascorsi a riposare nella grande “casa di vetro”. Non particolarmente presente il perlage, ma con frizzantezza sufficientemente presente e ammorbidita dagli anni.
Al naso ha mostrato una complessità quasi indescrivibile, con cambi e variazioni di sfaccettature ad ogni minuto. Inizialmente è partito caldo e burroso, richiamava moltissimo i grandi chardonnay di Montrachet, con la frutta gialla ancora leggermente timida, che si lasciava sorpassare da una vena acida, viva e speziata, di erbe aromatiche e agrumi. Col passare delle mezz’ore è emersa più chiara e viva la frutta, pesca, ananas e, meno intensi, piccoli frutti di bosco. Il tutto ancora miscelato ad una stupenda amalgama di erbe aromatiche fini, crosta di pane e una lieve nota burrosa che andava via via diminuendo.
Ogni minuto, una sorpresa. Una miriade di sfaccettature che emergevano dal bicchiere sempre in divenire. Un vino complessissimo, ma allo stesso tempo piacevole e affascinante.
In bocca ha mostrato meno mutevolezza, lasciando sempre predominare i sentori di piccoli frutti rossi del pinot nero, ribes e lamponi sopra tutti, contornati da una elegante nota di pompelmo rosa; poi ananas, pesca gialla e un finale lievemente maltoso e speziato, di salvia e timo. Anche qui, tanto elegante e rotondo, che invitava subito ad un secondo sorso, piacevole, ancora straordinariamente acido e vivo, malgrado i suoi 22 anni.
Un ultimo dettaglio, per confermare la straordinarietà del prodotto che avevamo sulla nostra tavola: di questa annata, in questo formato, sono state prodotte pochissime bottiglie, quindi una vera rarità, impreziosita ancora di più da un piccolo stemma in foglia d’oro incastonato nel vetro esterno della grande bottiglia scura!
Bottiglia, che ora ci guarda dall'alto del frigorifero della nostra cucina.

giovedì 26 aprile 2012

Qualcosa di speciale

Il legame tra vino e territorio di produzione è senza dubbio strettissimo. Ci sono poi alcuni vitigni autoctoni, molti dei quali poco noti al “grande pubblico”, ma ben conosciuti dagli appassionati del settore, che legati ad un territorio decisamente ristretto sanno dare vini di una tipicità e di una qualità davvero uniche.
Uno di questi vitigni è il Timorasso, uva a bacca bianca che viene prodotta in quantità davvero limitate nella zona dei colli Tortonesi, nel basso Piemonte, a ridosso dei primi Appennini. Quest’uva nei decenni passati era stata quasi del tutto abbandonata per dare spazio all’uva Cortese, più produttiva, ma grazie ad alcuni intrepidi vignaioli, il timorasso sta conoscendo una nuova fortuna, che lo sta portando rapidamente alle più alte valutazioni sulle guide di settore.
Uno di questi vignaioli me lo fece conoscere qualche anno fa’ un amico oste, proponendomi per una cena di pesce un doc Colli Tortonesi timorasso DERTHONA (non ricordo l’annata) del produttore Vigneti Massa.
Questo vino mi è rimasto così nel cuore da acquistarlo ogni volta che mi capiti di trovarlo sugli scaffali di qualche enoteca, e vi assicuro che non è sempre così facile.
Ieri sera ho provato per la prima volta l’annata 2008, come abbinamento ad un bel trancio di salmone al limone e rosmarino, e come sempre ho trovato un vino davvero interessante, pur di beva non propriamente “semplice”, date le caratteristiche non comuni che possiede.
Colore giallo dorato carico, limpido e brillante. Al naso, inizialmente timido, poi col tempo lascia salire note calde, mature di frutta gialla, mango, pesca e una vena di sottofondo di spezie mediterranee. Non particolarmente notevole l’intensità dei profumi, cosa che mi ha fatto presagire una grandissima concentrazione e una imponente struttura, perfettamente confermate con l’assaggio.
Al sorso mostra tutta la sua grande tipicità, differenziandosi davvero molto dalle classiche gamme organolettiche di altri vini bianchi più noti e diffusi. Ho sentito una grande predominanza di pompelmo rosa, mango, melone maturo, miscelati in un contesto sapido e strutturato, davvero notevole, pur mantenendo una discreta freschezza che rendeva il sorso piacevole e assolutamente non stucchevole. Si sente, eccome, la tipicità e l'unicità del vitigno, lo si riconoscerebbe subito tra molti altri; si sente anche il calore alcolico (14%), ma non invade; si nota anche una vena di surmaturazione che però non impasta, ma arricchisce il vino con un aspetto di complessità in più che non stona.
Chiude con salvia e altre erbe mediterranee, che lasciano un lungo finale piacevole e che invitano ad un nuovo sorso.
E’ la terza annata che assaggio di questo prodotto, tutte riuscitissime e assolutamente da tenere in cantina per le serate in cui si vuole stupire qualche amico appassionato con qualcosa di veramente diverso e speciale.